Il santo sepolcro

SANTO SEPOLCRO E STATUS QUO: microcosmo religioso

Ci si aspetterebbe di veder sorgere il santuario centrale della cristianità in un maestoso isolamento, mentre di fatto è inglobato dentro la città vecchia. Si cerca una spaziosità luminosa, mentre esso è buio e angusto. Si cerca la pace, e invece l’orecchio è assalito da una cacofonia di canti che si fanno guerra a vicenda. Si desidera la santità, ma ci si trova di fronte solo a un geloso istinto di possesso dei gruppi che lo occupano: cattolici latini, greco-ortodossi, armeni, siriani, copti, etiopi.


In nessun altro luogo appare maggiormente la fragilità della natura umana; in esso tutto si sintetizza. È qui che Cristo è morto ed è stato sepolto? Molto probabilmente sì.
All’inizio del I sec. d.C. il luogo era una cava abbandonata fuori delle mura della città.
Gesù fu crocifisso fuori della città su un promontorio roccioso che ricordava la forma di un teschio (Gv 19,17) e nelle vicinanze vi era una tomba (Gv 19,41s).


In una città in cui l’elemento religioso è così centrale, c’è anche un documento ottomano del 1852: lo Status Quo, cioè l’editto con il quale il sultano ha codificato distribuzione degli spazi, modalità e orari dei riti tra le confessioni cristiane presenti nella basilica del Santo Sepolcro. Nel luogo più sacro della cristianità, infatti, la convivenza tra le chiese delle diverse denominazioni è stata spesso burrascosa.


ANCHE OGGI SI APPLICANO ALLA LETTERA LE DISPOSIZIONI DEL 1852 PER LE QUESTIONI PRATICHE SULLA CONVIVENZA DEI RITI EBRAICI, CRISTIANI E MUSULMANI ALL’INTERNO DELLA CITTÀ VECCHIA.